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17 marzo 2019

Calcio e altro

Il romanticismo della maglia. Quando un giocatore decide di lasciare la squadra nella quale sta giocando, soprattutto se è uno di quelli importanti, uno di quelli che i suoi tifosi mai vorrebbero andasse via, allora si accendono le discussioni e, inevitabilmente, torna il tema dell'attaccamento alla maglia.
Noi tifosi del Cagliari sembriamo particolarmente appassionati a questa singolare forma di romantica sensibilità, forse perché - a ragione - teniamo sempre presente l'esempio del leggendario Luigi Riva da Leggiuno. Lui, il Rombo di Tuono, arrivò a Cagliari ventenne e si legò per sempre alla maglia rossoblu dei quattro mori. Gianni Agnelli gli moriva appresso, cercando inutilmente di convincerlo a trasferirsi a Torino e un giorno, infine, stizzito dalla invariabile risposta negativa del grande attaccante, lo apostrofò con uno spregiativo "pecoraio". Caduta di stile, non giustificabile, ma comprensibile.
Riva sarebbe potuto diventare ricco, magari non proprio come i top player di oggi, viste le grandi differenze tra gli ingaggi del tempo e quelli odierni, ma certamente ricco rispetto ai suoi colleghi più pagati. Ma la ricchezza monetaria lo attirava meno della ricchezza interiore, quella che poteva accrescere ogni giorno, semplicemente passeggiando per la città o al Poetto, incontrando i tifosi che lo adoravano, respirando quell'aria unica della Sardegna. Era la ricchezza dell'anima, che lo faceva stare bene. Così non lasciò mai l'isola e il Cagliari.
Però, quando noi tifosi trasferiamo sui campioni di oggi lo stesso romantico sentimento col quale abbiamo sempre ammantato Riva, non comprendiamo che il Rombo di Tuono è stato un calciatore più unico che raro; così per le giocate sul campo, come per le scelte di vita. Inoltre, oggi i calciatori sono strettamente legati all'interesse personale dei loro procuratori e, in genere, sembrano portati a fare coincidere la propria volontà con quella degli agenti, che gli prospettano carriere importanti e guadagni favolosi.
L'estate del 2021 ha visto l'addio di Nainggolan, uno dei giocatori più amati a Cagliari. Una parte dei tifosi ha stigmatizzato il comportamento ambiguo della società rossoblu, ma un'altra parte ha accusato il Ninja di tradire la maglia "per qualche dollaro in più". Dimenticando che il centrocampista belga, arrivato tra noi dalla piccola provincia italiana (Piacenza), poi non si era fatto particolari problemi ad accettare la corte di un club più ambizioso e blasonato (Roma). Per il Ninja, Piacenza-Cagliari-Roma (e poi Inter) altro non era che il percorso naturale da seguire per dare lustro e sostanza economica alla sua carriera professionale.
Parliamo di Nandez? anche in questo caso, molti tifosi non hanno perdonato all'uruguagio la sua volontà, manifestata anche in modo fin troppo plateale, di lasciare Cagliari per Milano nerazzurra. Ma pensiamoci un attimo e richiamiamo alla mente quanto fu faticosa la trattativa per portare Nandez in rossoblu, quanti ostacoli sollevò il suo procuratore, consapevole che altri club, più ricchi, erano interessati al talentuoso centrocampista. Alla fine, per una serie di motivi contingenti, la spuntò Giulini; ma il piano di Nandez e del suo procuratore mi sembra chiaro: accontentarsi intanto di approdare nel calcio italiano, per fare maturare le condizioni favorevoli al successivo trasferimento ad altra, altolocata squadra.
Insomma, il carrierismo e l'arricchimento possono dare fastidio al sentimento romantico della maglia, però sono la realtà nel calcio dei nostri giorni (e anche di quello del passato). Ma voglio concludere con un altro esempio, che riguarda Bellanova. Il giovane esterno di belle speranze sta conquistando i tifosi a suon di prestazioni sempre più convincenti. Vogliamo davvero credere che lo faccia per attaccamento ai colori rossoblu? Bellanova è appena arrivato a Cagliari, è cresciuto nel Milan, non ha alcun motivo concreto per sentire questa maglia come una seconda pelle. Più verosimilmente, il suo grande impegno e rendimento sono finalizzati - legittimamente - a mettersi in mostra, intanto per battere la concorrenza interna (Zappa) e poi per accreditarsi agli occhi degli osservatori di società molto importanti.
Dobbiamo rassegnarci, il mondo va così.

Il calcio a distanza di sicurezza. Il 26 aprile 2020 il governo ha dato una prima risposta all'ansiosa attesa delle società calcistiche. I club potranno avviare la ripresa degli allenamenti dal 4 maggio e i calciatori inizieranno la preparazione dapprima individualmente, poi, dal 18, in gruppo. Due settimane di "distanziamento", prima che i giocatori si ritrovino in campo simultaneamente agli ordini dei preparatori atletici e degli allenatori. La speranza, non esplicitamente dichiarata, è che durante quei quattordici giorni il virus faccia un deciso (e decisivo) passo indietro e consenta alle rose di lavorare in piena tranquillità, in vista della ipotetica ripresa dei campionati nella prima metà di giugno.
Se il calcio riprendesse la sua solitaria esibizione (in un panorama sportivo complessivamente già fermo e rinviato alla prossima stagione agonistica), le partite si giocherebbero comunque negli stadi vuoti, senza i tifosi sulle gradinate. La "distanza di sicurezza", non più possibile fra gli atleti in campo, resterebbe fra i calciatori e i loro sostenitori, resterebbe tra i tifosi della stessa fede e tra le tifoserie contrapposte. E le televisioni a pagamento, finalmente soddisfatte, trasmetterebbero immagini di gare sportive tra uomini soli, in grandi catini vuoti, riempiti soltanto da grida isolate, rimbombi e imprecazioni varie e variamente indirizzate.


Un atto concreto contro razzismo e violenza. Combattere concretamente le manifestazioni razzistiche all'interno degli stadi deve essere un preciso dovere delle società calcistiche. Il 14 febbraio 2020 la società Cagliari Calcio ha dato un esempio forte che - sperabilmente - tutti dovrebbero seguire da qui in avanti. Il comunicato societario informa che tre persone, denunciate per aver rivolto parole di carattere razzista ad alcuni calciatori avversari, in occasione di diverse partite disputatesi alla Sardegna Arena nei mesi passati, non potranno più entrare nello stadio del Cagliari: "In ottemperanza al codice regolamentare in vigore, ma soprattutto a tutela dei tifosi del Cagliari, della città di Cagliari e di tutta la Sardegna, che in termini di accoglienza e rispetto non hanno certo bisogno di prendere lezioni".
Le autorità federali hanno espresso il loro plauso ad un provvedimento concreto, che finalmente lascia il campo facile delle dichiarazioni di principio per colpire e isolare gli incivili.


La giustizia iniqua. Lautaro Martinez, espulso nei minuti finali della partita Inter-Cagliari del 26 gennaio 2020, è stato successivamente squalificato dal giudice sportivo per due giornate di campionato. La motivazione del provvedimento recita che il calciatore interista, non accettando l'ammonizione arbitrale ricevuta dopo un fallo di gioco, aveva protestato e inveito contro il direttore di gara, assumendo anche un atteggiamento intimidatorio e continuando ad inveire e a tenere atteggiamenti minacciosi anche mentre i suoi compagni di squadra lo allontanavano dall'arbitro. Ora, tutti ricordiamo come fu punito invece Olsen.
Il portiere rossoblu, espulso in Lecce-Cagliari del 25 novembre 2019, era stato squalificato per quattro giornate e, in più, il ricorso della società per la riduzione della squalifica era stato respinto. Olsen, secondo il comunicato del giudice, si era reso responsabile di avere dato una spallata a Lapadula a gioco fermo e poi, colpito con la testa dall'avversario, di avere reagito con una manata al volto del giocatore leccese. Inoltre, lasciando il campo, aveva offeso il quarto arbitro.
Dunque l'aggressione verbale e l'intimidazione (Lautaro) sono meno gravi dell'aggressione fisica (Olsen)? Non credo si possa sostenerlo, soprattutto quando le minacce sono rivolte al direttore di gara. Non solo, ma nel caso specifico erano sostenute e reiterate anche da alcuni componenti della panchina nerazzurra, tant'è vero che il portiere Berni è stato a sua volta squalificato per due giornate. Come non bastasse, il clima creatosi sulle tribune era tutt'altro che amichevole verso l'equipe arbitrale e poteva dare luogo a gravi problemi di ordine pubblico. Tutti questi elementi avrebbero dovuto fare riflettere sulla reale gravità del comportamento di Lautaro. Allora torna il solito sospetto, cioè che sia più difficile calcare la mano quando si tratti di tesserati appartenenti a società che pesano molto all'interno della Federcalcio.
Inoltre, credo che i fatti di Lecce non siano stati adeguatamente soppesati. Cosa giustifica che Olsen abbia ricevuto una punizione di entità doppia rispetto a Lapadula? La successiva reazione dello svedese, forse? Ma sarebbe bastata una giornata di squalifica in più, senza considerare che il codice della giustizia sportiva prevede che la sanzione può essere ridotta, se emerge che il giocatore abbia "agito in reazione immediata a comportamento o fatto ingiusto altrui". Quindi perché Olsen è stato punito così duramente, per una parolina di troppo al quarto arbitro?


Un minuto di silenzio. La morte del tifoso rossoblu Daniele Atzori, avvenuta il 15 marzo 2019 mentre si giocavano gli ultimi minuti di Cagliari-Fiorentina, ha suscitato tristezza in tutti noi. Ma ha suscitato anche un'indignazione generale nei confronti di quei pochi "tifosi", se così possono essere definiti, della Fiorentina che hanno lanciato auguri di morte al poveretto colto da infarto.
Di fronte a simili esempi di malvagità normalmente si rimane senza parole e, dopo la morte di uno sportivo, sui campi di calcio tutti osservano un minuto di doveroso silenzio. Però ora qualcosa mi sento di dire. Voglio pensare, prima di tutto, che quei quattro scemi fossero proprio pochi (si dice una decina) e che il resto dei tifosi fiorentini, presenti e non presenti alla Sardegna Arena, stiano tutti insieme a coloro i quali si sono immediatamente dissociati da quei quattro scemi, come ha fatto anche la società viola. E sono sicuro che sia così, sono sicuro che la stragrande maggioranza dei fiorentini sputerebbe in faccia a quei quattro, disgustosi scemi.
Poi voglio anche pensare che persino l'individuo più malvagio sappia pentirsi. Quei quattro scemi avranno appreso della morte di Atzori, l'uomo al quale urlavano di morire. Se sono esseri umani, saranno stati assaliti dalla vergogna, perché un essere umano, che voglia davvero chiamarsi tale, non augura mai la morte, o il dolore, o la sofferenza ad altri esseri umani. L'amarezza più nera per una sconfitta nel gioco del pallone non può prevalere sul rispetto dei valori umani.
Voglio pensare addirittura che i quattro scemi siano più scemi che malvagi, che cioè non si siano resi conto della gravità delle condizioni del povero Atzori. Questo lo spero per loro, perché in caso contrario sarebbe difficile continuare a considerarli esseri umani.

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